A.C. 2727-A
Grazie, Presidente. Prima di iniziare ed entrare nel merito del provvedimento, io spero di dare così una occasione diciamo di correzione di un lapsus alla collega Lucaselli, che ho ascoltato nel corso dei lavori in Commissione e credo e spero, come dire, di avere frainteso: a me non risulta alcun caso di organizzazione non governativa che abbia buttato giù dalla propria nave bambini. Penso si riferisse ai trafficanti. No. Prendo atto, però a questo punto le chiederò, in altra sede, di dimostrare quello che ha detto, perché mi giunge del tutto nuovo, veramente pensavo che fosse un equivoco. È una dichiarazione che mi colpisce molto, non solo perché non mi risulta, soprattutto in relazione ad un'accusa così grave, ma anche perché, come dire, per l'appunto questa dichiarazione diventa l'ennesima dimostrazione dell'esistenza di un radicato pregiudizio rispetto al ruolo che le organizzazioni non governative hanno svolto nel nostro Paese, nelle nostre acque, ma in particolare ovviamente nel Mediterraneo centrale.
Mi lasci dire, Presidente, che questo pregiudizio, questo livello ideologico della discussione e del conflitto si è manifestato nel corso di tutta la discussione in Commissione. Io ho preso nota di alcune parole che sono risuonate, anche all'interno di quest'Aula, nel corso della discussione di questa mattina e che non mi erano nuove, le avevo già orecchiate a lungo nel corso del confronto che si è svolto in Commissione affari costituzionali: “mangiatoia”, riferito al Terzo settore che lavora sull'accoglienza; “immigrazionismo”, come ideologia tesa a incentivare i flussi migratori suppongo in danno del Paese (non sfugge la caratterizzazione negativa della parola); “buonismo”, non solo per chi pratica accoglienza, ma per chi ha dedicato una parte del proprio tempo, delle proprie risorse economiche, della propria vita, nel corso di questi mesi, a salvare le vite in mare.
Questo, però, è un provvedimento che non ha questa natura. Questo è un provvedimento che sancisce la pace, un decreto che sancisce la pace tra l'ordinamento italiano e l'ordinamento internazionale. Questo è il punto, questo è il cuore del decreto che stiamo discutendo. E, in particolare, smantella un assetto delle politiche migratorie e di sicurezza pensato dall'allora Ministro Salvini come un modo per far entrare il sistema della legislazione ungherese dentro quella italiana. Ora, io vedo spesso questi manifesti di propaganda dove si mette l'Africa sopra l'Italia e si cerca di dimostrare che l'Africa dentro l'Italia non entra; è giusto, è vero. È altrettanto vero che il sistema giuridico e le norme ungheresi non entrano nell'assetto costituzionale italiano, per quanto ci possiamo sforzare, non ci stanno . “Ideologico”: ideologico è stato l'impianto di quei decreti, che erano l'altra faccia di una campagna che si è sviluppata nel corso degli anni del Governo Conte 1, con il senatore Salvini nel ruolo di Ministro dell'Interno, nei quali corrispondevano due facce di una stessa medaglia: la guerra conclamata alle organizzazioni non governative, con la riserva conseguente, da parte del Ministro, a valutare di volta in volta quali potevano avere accesso alle acque territoriali italiane e quali no - sappiamo come è andata, e sappiamo come è andata anche sul piano giuridico, nel caso Sea-Watch -, e dall'altro l'idea che l'Italia dovesse progressivamente allontanarsi dall'Europa, o da una certa idea di Europa. Queste due idee, di cui una risaltava nei momenti di discussione delle leggi di bilancio, l'altra risaltava nei momenti di discussione rispetto al tema dell'immigrazione e della sicurezza, camminavano insieme.
Questo decreto corregge questo tipo di assetto. Capisco bene che ha acceso uno scontro che sta proseguendo anche nella giornata di oggi, ma, consentitemi di dirlo in questo modo, consente al nostro Paese di essere nuovamente novellato tra i Paesi occidentali civili, tra le nazioni democratiche e repubblicane che hanno, nel rispetto del diritto internazionale, nel riconoscimento del diritto internazionale, così come è stato messo in piedi dopo la Seconda guerra mondiale, la loro principale fonte di legittimità del diritto.
La campagna contro le organizzazioni non governative è stato uno solo degli aspetti di quei decreti, ma è stato probabilmente il principale. Presidente, anche nel corso del suo intervento, prima ovviamente che presiedesse, lei richiamava con molta forza questo elemento, ossia l'idea che quelle organizzazioni, che sono nient'altro che una forma del volontariato, non colmassero un vuoto nel Mediterraneo centrale, un vuoto lasciato anche dalle istituzioni nazionali, internazionali e dall'Unione europea, ma fossero funzionali a un disegno politico, finanziato da non meglio definite centrali di interesse, con l'obiettivo di sostituirsi ai trafficanti e giocare come un attore geopolitico nel Mediterraneo. Ora, io non so da quale idea e da quale percezione della realtà possa nascere quest'idea che è stata parte di una campagna più larga; nelle democrazie liberali, quando sono sotto attacco le organizzazioni non governative, significa che qualcosa inizia a non funzionare, che qualcosa si sta rompendo nel tessuto profondo di un Paese, soprattutto quando questo avviene in un Paese con la tradizione e la tradizionale proiezione mediterranea dell'Italia. Questa idea non solo si è dimostrata falsa sul piano giudiziario - voglio ricordare a tutti che nessuno dei molti processi intentati contro organizzazioni non governative dedite al salvataggio in mare si è concluso con una condanna di alcun tipo - ma è falsa e gravemente distorsiva e, lasciatemi dire, pericolosa sul piano generale, perché tende a criminalizzare un'attività che è stata, permettetemi di dire, una delle poche carte che i nostri Paesi hanno potuto giocare per non perdere completamente la faccia nei confronti dei loro dirimpettai. Io non credo all'idea dei buoni contro i cattivi, credo nella diversità delle idee e credo che sia legittimo, soprattutto su questo punto, avere idee diverse. Però, questo non mi può impedire di dire che c'è una differenza profonda, radicata, se volete, persino radicale, tra il decreto che è in discussione oggi e il decreto che lo ha preceduto e su cui questo decreto, a sua volta, interviene e che non è data dalla lunghezza o dalla brevità del testo, è data dal fatto che questo decreto interviene nel solco del dettato costituzionale e ripristina il valore del dettato costituzionale nella legislazione italiana. Questo è il punto fondamentale che ci divide, che non possiamo nasconderci e rispetto al quale io volentieri accetto il confronto, ma che va rimarcato in questa sede, perché altrimenti non si capisce che cosa stiamo facendo. Nessuno di noi pensa che il COVID non sia un'emergenza, nessuno di noi pensa che il Parlamento si stia occupando di questa materia perché si è distratto o non si è accorto di quello che succede fuori da quest'Aula. Nessuno di noi pensa che non ci siano italiani poveri, italiani in difficoltà, problemi occupazionali ed economici, vecchi ed emergenti, ma questo decreto, poi ci arriverò a breve, oltre a consentirci probabilmente di gestire meglio persino l'emergenza COVID - che dovrebbe averci insegnato che sapere è meglio di non sapere, integrare è meglio di nascondere, regolarizzare le posizioni è meglio di pretendere di mettere in un cono d'ombra una parte delle persone che, pur non essendo di cittadinanza italiana, vive in questo Paese, ma questo è un aspetto che vorrei vedere in breve, per un secondo, dopo -, mette in luce quello che noi tutti avevamo chiaro e cioè che da questa vicenda dipendesse un pezzo della credibilità, non solo del Governo, ma anche nazionale ed internazionale del nostro Paese. Molte volte è stato evocato il rischio di un cosiddetto pull factor, cioè che questo tipo di misure potesse determinare una capacità di attrazione dei flussi migratori e di risveglio di riapertura delle rotte, sappiamo tutti che nel Mediterraneo sono tre e, poi, ce n'è una più larga e continentale da est. I numeri, se noi solo avessimo ogni tanto l'accortezza di considerarli (e io ritengo che non sia un caso il fatto che all'approvazione dei decreti precedenti, dei cosiddetti decreti Salvini, non ci fosse nessun centro di valutazione dell'efficacia di quelle misure e di quelle politiche sul piano empirico, che è un elemento che questo tipo di assise tradizionalmente denuncia, il fatto che chi scrive le norme pensa di avere in mano una verità preconcetta che non ha bisogno di dimostrazione, perché si dimostra da sola, che è un classico degli approcci ideologici alla legislazione), raccontano altro; i numeri raccontano che l'andamento dei flussi migratori nel Mediterraneo centrale è condizionato da fattori che non hanno nulla a che fare - e sarebbe un enorme errore di arroganza pensarlo - con la nostra legislazione nazionale. Chi mette a repentaglio la propria vita su un gommone, con difficoltà si sarà preoccupato di approfondire se avrà la carta d'identità per tre anni oppure no, se avrà riconosciuto il diritto di residenza oppure no. Quello che noi stiamo facendo è un'altra cosa; noi stiamo semplicemente mettendo il Paese in condizioni di gestire questa situazione, di gestirla, ripristinando un sistema di accoglienza diffuso ed evitando le grandi concentrazioni di persone e di interessi. Ce lo possiamo dire credo con grande franchezza.
Noi stiamo cercando di porre un limite ad uno sfruttamento selvaggio che c'è nel mercato del lavoro italiano e che fa leva sul reato di clandestinità, allo sfruttamento di manodopera immigrata non regolare; ed è un lavoro che è iniziato in altro tempo con le leggi sul caporalato; e abbiamo di fronte la sfida grande - lo voglio dire in questo modo - di tornare a mettere in capo a ciascun ambito della nostra politica di Governo le proprie responsabilità. La dico così: la politica estera si fa attraverso il Ministero degli Affari esteri e della cooperazione internazionale, non si fa attraverso la normativa sull'immigrazione e la sicurezza italiana. Se dei flussi ci saranno e quali saranno, sarà la politica estera del nostro Paese a determinarlo, non certo la politica di sicurezza. E se c'è stata un'idea sbagliata che si è diffusa nel corso degli anni era che fosse possibile mischiare le due cose, e affidare a qualcun altro la sorveglianza delle nostre coste e delle nostre frontiere. Non è così: questo è un ruolo insostituibile dello Stato, e tornare ad una politica estera che guardi alla necessità di una presenza italiana ed europea in Africa e nel Mediterraneo (ci sarebbe molto da dire su questo e non è questa la sede) dovrebbe essere probabilmente la prima delle priorità politiche di questo Governo, conclusa - speriamo presto e soprattutto speriamo bene - l'emergenza COVID-19, che in questo momento inevitabilmente assorbe le energie e le preoccupazioni di tutti noi.
Mi avvio a concludere, Presidente. Questo è un primo passo. Quando si dice “primo passo” si sottintende sempre che non è importante: in realtà questo è un passo fondamentale, il decreto-legge che abbiamo posto in approvazione è un passo fondamentale per ridisegnare non solo le nostre capacità di gestione dei flussi migratori, non solo la nostra capacità di immigrazione, ma anche qual è la natura della legislazione del nostro Paese. Io spero e penso che non debba e non possa essere l'ultimo. Come sapete, è in discussione da molto tempo, ormai in Commissione abbiamo concluso le audizioni, il tema dello ius culturae. Come sapete c'è un problema che permane, legato alla natura della legge Bossi-Fini: è l'individuazione del reato di clandestinità. Come sapete c'è ancora molto lavoro da fare. Però lasciatemi dire anche che per una volta l'essenziale qui c'è. L'essenziale qui c'è. Quando leggo il testo del decreto-legge, anche con gli apporti emendativi che si sono aggiunti nel corso della discussione, ci leggo dentro lo spirito della Costituzione, della Costituzione repubblicana; e questo, lasciatemi dire, dopo le vicende che questo Paese ha attraversato non è affatto poco, anzi è forse una delle cose più importanti e di valore che abbiamo fatto fino a qui.